Storie di uomini e di faggi: la Società Macchia Faggeta

Storie di uomini e di faggi: la Società Macchia Faggeta

È il 1782. Il Granduca Pietro Leopoldo di Toscana con un motu proprio decide la soppressione del monastero di San Salvatore al Monte Amiata. I comportamenti dei monaci lo disgustano a tal punto che non è difficile inquadrare l’attività dell’abbazia cistercense che domina da secoli l’area del comune di Abbadia come una realtà antieconomica e in perfetta antitesi ai suoi progetti giurisdizionalistici. Così, come del resto il Granduca sta facendo ovunque in Toscana, l’abbazia viene soppressa, i suoi monaci cacciati, i suoi beni di inestimabile valore spogliati (quelli più importanti vengono portati a Firenze, come il Codex Amiatinus) e le proprietà ecclesiastiche suddivise per poter essere rivendute così da dare nuovo impulso all’economia.

Appena un paio di anni più tardi (1784) la medesima sorte deve toccare alle vaste proprietà comunali che si estendono sui boschi amiatini e soprattutto sulla immensa faggeta che domina l’Amiata fin sulla cima. A quel punto però accade qualcosa che il Granduca non ha previsto e che con ogni probabilità era anche difficile da prevedere non conoscendo le usanze e le consuetudini del luogo.

La faggeta, infatti, per la popolazione di Abbadia non è una risorsa secondaria. La sua amministrazione nell’arco dei secoli è stata complessa, dibattuta, normata e poi difesa con un unico scopo: far sì che quell’immenso patrimonio boschivo fosse utile a tutti e proprietà esclusiva di nessuno.

Ciascuno del castello dell’Abbadia S. Salvatore possa e li sia lecito fare il carbone lombardo di faggio nel monte, per sé e per venderlo all’huomini dell’Abbadia”.[1]

Gli abitanti di Abbadia usano la legna del faggio per alimentare stufe e camini che li riscaldano nei lunghi e gelidi inverni di montagna, usano i solidi tronchi per fare assi, travi e mobilio, per acconciare le case e le stalle. Infine, le faggete sono luoghi perfetti per il pascolo del bestiame e per la raccolta delle faggiole (i frutti del faggio), gradito pasto per i maiali.[2]   

Con l’obbligo di vendere o allivellare i terreni della faggeta, la popolazione di Abbadia rischia di perdere lo storico diritto all’uso civico della parte alta della montagna e dei suoi boschi. Le suppliche al Granduca da parte della popolazione non sembrano sortire alcun effetto e nel 1786 viene preparata la suddivisione della terra in 85 Preselle (oggi le chiameremmo Particelle) pronte per essere vendute.

Ma come è noto la necessità aguzza l’ingegno ed è così che i principali capifamiglia della comunità si riuniscono per cercare di trovare una soluzione che garantisca i diritti di tutti e che non li metta gli uni contro gli altri. Propongono di acquistare la faggeta amiatina come comunità.

La sfida è tutt’altro che scontata. Il Granduca rifiuta ogni tipo di privilegio alla popolazione di Abbadia: “[…] in questa medesima Comunità vi sarebbe l’ingiustizia che i soli abitanti dell’Abbadia goderebbero gratuitamente della legna della Macchia Comunitativa […] però è di sentimento che anche che anche gli Abitanti di Abbadia si devino uniformare agl’Ordini veglianti”.[3] Né Pietro Leopoldo accetta le proposte economiche di acquisto della lega costituitasi tra i cittadini (arrivate a 2500 scudi).

A questo punto lo scontro con gli abitanti di Abbadia è totale. Ai rifiuti del Granduca, gli abbadenghi rispondono continuando a fare legna e carbone nei boschi nonostante i divieti e impegnandosi a mandare deserte le aste pubbliche per la vendita degli appezzamenti di terra.

Il 17 gennaio 1788, non trovando alternativa ed esasperato dalle aste che continuavano ad andare deserte, il sovrano acconsente a vendere la Macchia Faggeta agli abitanti di Abbadia. 58 capifamiglia stipulano l’atto di acquisto e due anni più tardi (28 febbraio 1800) la proprietà della faggeta viene estesa ad un totale di 205 capostipiti abbadenghi, senza distinzione di diritti tra uomini e donne.

La Società Macchia Faggeta esiste ancora oggi ed esattamente come più di 200 anni fa è composta dai soci capostipiti appartenenti a quelle famiglie che gli diedero vita e che ebbero il coraggio di andare contro il volere del Granduca.


[1] Ascheri M., Mancuso F., Abbadia San Salvatore. Una comunità autonoma nella Repubblica di Siena, Il Leccio, Siena 1994, p.260

[2] Cortonesi A., Il Medioevo degli alberi, Carocci, Roma 2022, p.105

[3] Calloni M., Adamanti B., (a cura di), Il futuro ha un cuore antico. La Società Macchia Faggeta e l’Amiata, Moroni, Grosseto 2013, pp.131-132